Titolo
Edison per l'orso
Presentazione
Chi è l'orso marsicano
Carta d'dentità
Cosa mangia
Biologia dell'orso
Dove vive
Perchè convivere con l'orso
Distribuzione degli orsi nel mondo
L’orso bruno in Europa
Distribuzione e status di conservazione in Italia
Principali fattori di rischio a scala locale
L’orso e l’uomo
Leggende e miti popolari
Storia e curiosita'
Lo sapevi...?
C’e' ma non si vede (segni di presenza)
La ricerca al servizio della conservazione
Il progetto Orso del Parco
La sfida della conservazione
Conservazione e contesto istituzionale
Linee di azione per salvare l’orso
Consigli 1
Consigli 2
Fine
L’orso e l’uomo
La specie nella preistoria e nella storia
L'orso delle caverne (Ursus spelaeus), simile
all’orso bruno, ma più grande e massiccio,
era molto diffuso durante l’ultimo periodo
glaciale; era una specie essenzialmente erbivora,
che utilizzava abitualmente le grotte come riparo,
trovandosi così in competizione con l’uomo preistorico.
L’aspetto poderoso e le grandi dimensioni di questo mammifero hanno fortemente influenzato
l’immaginazione dell’uomo, fin dal paleolitico superiore:
ne sono testimonianza varie raffigurazioni
rupestri, graffiti su osso, e perfino statue d’argilla
di grandezza naturale ricoperte con la pelle dell’orso
ucciso, importanti forme di culto diffuse tra le
popolazioni umane dell’epoca glaciale. Mentre
alla fine dell’epoca glaciale, a poco a poco, scompariva
l’orso speleo, ultimo rappresentante di una
antica linea di orsi europei, si affermava nel Vecchio
Continente l’orso bruno, Ursus arctos, specie
di origine asiatica.
La sottospecie appenninica, Ursus arctos marsicanus,
è presente nel territorio del Parco Nazionale
d’Abruzzo, Lazio e Molise, di cui è simbolo.
Nettamente separato dall’orso bruno europeo, sia
a livello geografico che morfologico, l’orso bruno
marsicano è una sottospecie molto ben caratterizzata.
Nell’antico mondo romano l’orso era la fiera
strappata dal suo ambiente naturale e utilizzata
prevalentemente come simbolo di ferocia.
Negli spettacoli del Colosseo e di altre arene, oltre
ai leoni e alle altre belve importate dall’Africa e
dall’Asia, figuravano orsi, linci, lupi e stambecchi
provenienti anche dalle Alpi e dagli Appennini.
Il triste destino di questi animali era frutto di un
intenso traffico, molto redditizio e assai ramificato
in tutte le Province dell’Impero, anche le più
lontane.
Dopo complesse battute di caccia, mirate alla cattura,
gli animali venivano stipati in gabbie e trasportati
su carri e su navi Rispetto a quanti morivano durante
il viaggio, ed in seguito nei giochi
circensi, ben pochi sopravvivevano
allevati nei serragli.
Sono famose le orribili stragi nei
circhi ai tempi degli imperatori più
noti: Traiano, ad esempio, per festeggiare
le sue vittorie nella Dacia
nel 107 d.C., fece uccidere, in 123
giorni, ben 11 mila animali selvatici.
Si narra che l’imperatore Caligola,
in un giorno, fece liberare
nell’arena quattrocento orsi bruni
facendoli combattere contro cani
e gladiatori; durante il principato
dell’imperatore Probo (276-282 d.C.) venne allestito
nel circo un vero e proprio bosco artificiale in
cui furono liberati cento orsi, mentre in un altro
spettacolo ne sacrificò trecento.
Gordiano I (238 d.C.), però, pare che abbia superato
tutti riuscendo a mettere insieme mille orsi,
duecento cervi, cento capre selvatiche, centocinquanta
cinghiali, duecento stambecchi e duecento
caprioli tutti provenienti dalle foreste italiane ed
europee.
Le superbe e varie rappresentazioni artistiche che
ci illustrano l’orso come simbolo di forza e come
belva combattente, evocano le storie raccontate
dai numerosi cronisti e storici dell’epoca.
Assieme a tanti altri animali gli orsi figurano in
mosaici, bassorilievi e pitture che ci raccontano,
con grande realismo e suggestione, di scontri
all’ultimo sangue, così voluti da una società che
aveva eletto la morte a forma di spettacolo.
Ma non solo di morte si tratta, attraverso magnifiche
piccole sculture alcuni artisti del mondo romano
pongono l’orso in uno scenario diverso, tra
il domestico e il divino, come negli antichi miti
celtici.
Artio, la dea celtica della caccia e dell’abbondanza,
è rappresentata in questa scultura di bronzo proveniente
da Muri, nei pressi di Berna (nome che
significa orso) in Svizzera.
La scultura rappresenta un grande orso, dietro il
quale c’è un albero, di fronte ad una donna seduta
su un carro.
La donna sembra tenere della frutta sul suo grembo,
che serve forse a sfamare l’animale.
Sul basamento
su cui poggia la scultura vi è una iscrizione:
Deae Artioni/Licinia Sabinilla, cioè “Alla dea Artio
(o Artionis), da Licinia Sabinilla”.
Il nome di questa dea deriva dalla parola gallica
artos, cioè orso.
Nell’Alto Medioevo, quello tra l’uomo e l’orso è
narrato talvolta come un rapporto quasi umano
improntato alla convivenza pacifica, alla spartizione
degli spazi e dei frutti.
Si narra, nella “Vita di Colombano”, che il Santo, nel suo eremo tra i boschi si nutriva esclusivamente
di frutti selvatici. Giunse però un orso, il quale
cominciò ad alimentarsi di tali frutti mettendo in
pericolo la stessa sussistenza di Colombano.
Egli, quindi, comandò all’orso che da allora in poi
si accontentasse della metà del cespuglio.
La belva, prodigiosamente obbedì.
Nei “Dialogi” di Gregorio Magno, si narra dell’eremita
Fiorenzo che, rimasto solo nel suo eremo tra
i boschi dell’Umbria, mal sopportando quella solitudine,
chiese a Dio di mandargli una qualche
compagnia; ed ecco che immediatamente sopraggiunse
un orso.
Poiché c’erano alcune pecore senza custode, Fiorenzo
chiese all’orso di portarle al pascolo e di essere
sempre di ritorno per l’ora del pasto: o a “sesta” o
a “nona”, secondo gli obblighi liturgici.
Durante il Medioevo l’abbandono dei terreni bonificati
e delle estese coltivazioni di pianura portò
nel tempo alla cosiddetta “reazione selvosa”: lentamente
i boschi ebbero il sopravvento sui territori
che erano stati nei secoli precedenti strappati alla
foresta.
Il ritorno di questi “nuovi boschi” consentì alla
fauna di rigenerarsi e propagarsi, riconquistando a
sua volta l’ambiente naturale originario: cinghiali,
uri, lupi, cervi ed orsi abitavano la selva divenendo
sempre più spesso competitori nei confronti
dell’uomo e di conseguenza cacciati e perseguitati.
Il bosco, per secoli considerato un luogo mistico
che ospita divinità e ricco di risorse, divenne rifugio
di oscure presenze e spiriti pagani spesso manifesti
attraverso gli animali più terrifici.
E così l’orso, creatura di grande forza e coraggio,
signore della vita misteriosa che alberga nella foresta,
da questa veniva nuovamente strappato, catturandolo
con trappolaggi simili a quelli dei secoli
precedenti, per essere
spesso costretto a battersi
con altre fiere oppure a
sbranare uomini.
La terribile pratica del
combattimento tra animali,
crudele eredità
degli antichi giochi circensi, attraversò tutto il
Medioevo, proseguendo
oltre il Rinascimento
fino alla fine del ‘700,
quando i combattimenti
tra cani, orsi e tori erano
ancora legali.